La plastica che uccide il mare
La biodiversità chiede giustizia perché le nostre acque, tra trentacinque anni, potrebbero contenere più plastica che pesci. Se non si interviene subito, ogni anno otto milioni di tonnellate di plastica potrebbero rimanere nei fondali degli oceani.
Dal 1964 ad oggi la produzione di plastica è aumentata di ben venti volte, ed entro il 2050 quadruplicherà.
Circa il 60% di plastica proviene da cinque paesi asiatici che sono: Cina, Filippine, Thailandia, Indonesia e Vietnam.
I rischi per il nostro ecosistema e per la salute sono enormi, perché i pezzi di plastica ingeriti dai pesci vanno a finire nelle nostre tavole.
In Italia tutte le zone costiere registrano almeno un'area inquinata, ma alcune sono particolarmente rilevanti come Marche, Liguria, Lazio, Campania e Calabria.
Nonostante sia trascorso il limite di tempo previsto dalla direttive europee per la depurazione, l’Italia è tuttora in fortissimo ritardo e sul nostro Paese pesano già due condanne e una terza procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea.
Dal 2016 il nostro paese paga 480 milioni l’anno, almeno fino al completamento degli interventi di adeguamento, con ricadute ambientali, economiche e a carico della collettività. Secondo Legambiente tre elementi inquinano maggiormente: packaging, i rifiuti di mancata depurazione e i rifiuti derivanti dal fumo.
Per frenare questo vortice distruttivo possiamo fare mirate azioni quotidiane, come, ad esempio, sostituire la plastica con materiali biodegradabili e limitare l’uso di prodotti usa e getta.
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