IF A TREE COULD TALK...di NICOLA LICURSI

Sembrava un giorno come tutti gli altri. Nulla di diverso. 
Il vento come sempre attraversava la mia chioma, gli uccelli cinguettavano.
la loro solita melodia e gli animali, come da abitudine, correvano per gli spari dei cacciatori.
Mai avrei immaginato quello che, di lì a poco, sarebbe stato il mio destino.
Ho sempre vissuto la mia longeva vita nella monotonia e nella tranquillità della foresta cui appartenevo. Ho vissuto 300 anni nel clima mite del mio posto, senza disturbi e senza fastidi, mentre il tempo scorreva, davanti a me. 
Quel giorno tutto cambiò.
Appena mi svegliai, la mattina, notai subito che gli uccelli non cantavano, cosa insolita, molto insolita. Iniziai a sentire un rumore. Persisteva e con il passare del tempo si faceva sempre più forte, sempre più forte, sempre più forte. In lontananza non si vedeva più il solito paesaggio, il paesaggio che mi aveva accompagnato per tutta la mia vita. 
Al suo posto c’era fumo, fumo che oscurava sempre di più il cielo, rendendo l’atmosfera buia e cupa. Ad un tratto gli alberi nel fumo iniziarono a muoversi con frenesia, come se fossero impazziti. Non si fermavano, dondolavano, dondolavano fino a quando scomparvero. Io non sapevo cosa era successo, non mi era mai capitato di assistere ad uno scenario del genere, e mentre cercavo risposte alle mie molteplici domande, notai che anche gli alberi più vicini a me si muovevano, come in preda ad una raffica di vento per poi scomparire. E così fecero gli alberi dietro di loro e così fecero anche gli alberi dietro ancora. 
Iniziai a ad avere un senso di terrore e man mano che il fumo si avvicinava a me la mia ansia saliva costantemente. Ad un tratto inaspettatamente lo vidi, l’ultima cosa vista prima del mio atroce destino. 
Il fumo proveniva da quella cosa, e man mano che si avvicinava l’aria diventava sempre più secca e fastidiosa, a tal punto che sarebbe stato meglio smettere di respirare. Si avvicinava sempre di più e sempre di più capivo perché gli alberi in lontananza scomparivano. Era una scena atroce, piena di violenza e crudeltà. Quella strana cosa agiva senza compassione. 
Non faceva distinzione né tra gli abeti più vecchi né tra quelli più giovani. 
La macchina indistintamente si avvicinava e l’albero cadeva. 
In seguito veniva fatto a pezzi, sotto i miei occhi, alberi che avevo visto crescere ridotti in pezzi. Speravo che quell’orrore fosse stato un sogno, provavo a convincermi che ciò era tutto nella mia mente e che mi sarei svegliato come ogni giorno e avrei vissuto la mia monotona giornata. Ma non era così. Più la macchina degli orrori si avvicinava più sembrava reale.
Mi dimenai provando invano e scioccamente di andarmene da lì, ma capii che mi stavo comportando come quegli alberi ormai morti. 
Lì compresi che avrei fatto quella stessa, terribile e straziante, fine. Non ero pronto per morire, desideravo in quel momento vivere solamente un’ultima giornata, tra la tranquillità, e godendomi ogni singolo secondo. La cosa si avvicinava e io mi domandavo con insistenza il motivo di queste atrocità. Perché ridurci a pezzi? 
Noi non avevamo mai fatto male a nessuno, vivevamo in armonia con tutti. 
Perché ci stavano facendo questo. Impassibilmente, senza un segno di esitazione come esseri senza anima. La cosa ormai era davanti a me. 
Non riuscivo a fare nient’altro che muovermi. Muovermi costantemente, così da convincere la mia testa che sarei scappato da quell’incubo. Ormai era finita. 
L’ultimo spettacolo che avrei visto non era una farfalla, né uno scoiattolo, ma una cosa senza anima che mi assorbiva la vita.

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